Io

Da piccola volevo fare l’astronauta, scoprire le stelle, essere la prima a poter finalmente dire che non siamo soli nell’universo. Avevo persino iniziato a scrivere una sorta di romanzo su un gruppo di uomini e donne in viaggio alla ricerca del pianeta perfetto per ospitarci a seguito della dipartita del pianeta terra; avevo 13 anni all’epoca, forse era da poco arrivata la TV a colori quindi posso asserire con assoluta certezza, che i film e le serie TV uscite in seguito sull’argomento sono un’idea rubata, non so bene come, dal cassetto del mio comodino, devo controllare se il mio manoscritto incompiuto è ancora al suo posto o mia mamma l’ha venduto anni fa senza dirmi nulla…

La verità è che essendo una mente totalmente e assolutamente creativa i miei viaggi nella fantasia hanno avuto pochi limiti e abbandonata l’idea di partire per esplorare il cosmo ho pensato fosse più “realistico” darmi alla pittura. Immaginavo mostre, i miei quadri esposti nei musei e nelle mega case di vip annoiati. Immaginavo opere su commissione, uno studio con me seduta su una sedia, sporca fino al midollo di colore ad olio, a spiegare al critico di turno perché la luna della mia ultima opera stava piangendo.
Ma sono cresciuta e fin troppo presto mi son resa conto che con l’arte non si mangia, per dirla in modo forse un po’ brutale, così ho studiato come tutti, ho messo da parte i miei sogni, archiviato le tele in un ripostiglio e la macchina fotografica di mio padre nella sua borsa impregnata di ricordi.

Si perché dopo la pittura ho pensato di diventare una fotografa, mi vedevo già viaggiare in luoghi sconosciuti o leggendari con una reflex al collo e le zanzare che mi divoravano per poi tornare e passare settimane in una camera oscura per vedere apparire sulla carta ciò che mi era apparso magicamente all’alba nel deserto o la bellissima donna dagli occhi color del prato incrociata per caso al mercato di Zanzibar.
Se mi concentro abbastanza, ancora oggi risento l’odore della camera oscura, perché alla fine si, ci ho veramente provato a fare fotografia, quella vera, analogica, quella in cui ti bruci le impronte digitali perché nella fretta di vedere il risultato non usi le pinze a lato delle vaschette degli acidi da sviluppo.
Ma come mi ha detto una persona che conosco da anni qualche giorno fa: le passioni creative sono per “ricchi” e quindi… Nulla, non mi è restato che continuare a vedere il mondo “a fumetti”, sfruttare più razionalmente la mia capacità di “osservare” e quando possibile dare sfogo alla creatività in contesti che spesso nulla hanno a che fare con la creatività stessa. Ora riesco a fare documenti Excel e PowerPoint che potrebbero benissimo essere esposti come opere d’arte contemporanea…

Volevo essere un’artista e invece ho imparato a gestire persone, a utilizzare quell’occhio che in fotografia permette di cogliere qualcosa che molti non vedono, per conoscere e comprendere dal ragazzino alla persona matura, dall’adolescente inquieta alla mamma annoiata, dal cliente pretestuoso all’imprenditore tutto d’un pezzo, i loro bisogni, le loro aspettative. Tutto questo per potergli porre le giuste domande e dargli le giuste risposte. A volte non ci sono riuscita ma ho affinato la capacità con l’esperienza e tanti sani calci nel di dietro. Ne ho gestite tante di persone negli anni, in quello che alla fine è diventato il mio lavoro ma che allo stato attuale non saprei definire in un paio di parole, perché degli inglesismi che si usano oggi per definire dei ruoli, non credo ne esista uno che mi rappresenti, non fino in fondo almeno.

Sono una persona creativa e una professionista diligente che si è adeguata al mondo reale ma che purtroppo sì è resa conto che troppo spesso viene sottovalutata, incompresa e anche, diciamolo, un po’ sfruttata, forse più per comodità o perché mi si conosce troppo bene e si pensa che se sono restata così a lungo continuerò a restare senza pretendere nulla, ma e’ inutile, dopo anni e anni inizia ad andarmi tutto stretto, come un abito fuori misura che alla lunga ti fa venire mal di stomaco, ti lascia i segni e ti procura l’orticaria perche’ di bassa qualità; una cinesata, come si suol dire, taglia xs pagata poco, che si spera riesca a contenere un cervello e un impegno che ormai straborda da ogni lato.

Volevo fare tante cose e tante ne ho fatte ma la realtà è che come tutti quelli che hanno un affitto e conti vari da pagare ho dovuto accontentarmi e relegare parte delle mie capacità, le più amate, al poco tempo libero che mi rimane quando la stanchezza non prende il sopravvento.
Ne vale la pena?
E’ un discorso complesso, il mio lato creativo e per natura un po’ infantile si ribella ogni giorno quando alle 7 prendo il primo autobus per attraversare la città e sedermi alla mia scrivania, ma esiste, fortunatamente, un lato adulto e razionale che mi ricorda che ho una ragazzina bionda che il venerdì sera mi aspetta a casa e altri fastidiosi doveri e responsabilità che mi impediscono di fare uno zainetto, portare le gatte a mia madre e partire per le Maldive dove potrei verificare la crescita dei paguri e aiutarli nella ricerca della loro conchiglia ideale. Una sorta di agente immobiliare per crostacei.
Questo naturalmente è solo un esempio, se do libero sfogo alla fantasia e chiudo il lato adulto e razionale nel freezer a schiarirsi le idee per un decennio, potrei partorire almeno 326 altre attività che mi darebbero maggiore soddisfazione e non arricchirebbero le case farmaceutiche degli anti-acidi.

Alla fine comunque i miei sogni non li ho ancora abbandonati, l’unico reale problema è che mi è ormai chiaro che non ho un vecchio zio d’America che non conosco che dopo il suo passaggio a miglior vita mi lascerà un eredità tale da consentirmi di mandare tutti a quel paese, tirare fuori la reflex, tele e pennelli e costruirmi una capanna in mezzo alla natura di Tahiti come quel furbone di Gauguin. Al posto di affiggere il cartello con “qui si fa l’amore” però io ci mettero’ un post-it con scritto: “lasciatemi stare, sto realizzando i miei sogni”.
Ma chissà, i bambini crescono, le ambizioni cambiano, la fortuna prima o poi gira e c’è sempre quel famoso detto della goccia che fa traboccare anche il vaso più capiente…
Nel frattempo scrivo, altra passione che attende pazientemente che mi decida a renderla qualcosa di più concreto, fortunatamente mia mamma non ha uno smartphone e non conosce i social, se non altro fra una ventina d’anni non vedrò queste parole trasformate in una serie TV.

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